La terapia per l'infezione da virus della epatite C ( HCV ) è in rapida evoluzione. Fino a poco tempo fa, lo standard di cura per la infezione da virus HCV era rappresentato dalla combinazione di PegInterferone e Ribavirina.
La migliore comprensione della biologia di base del virus della epatite C ha portato alla identificazione di specifiche proteine coinvolte nella replicazione del virus. Queste proteine possono essere bersaglio di inibitori della proteasi e della polimerasi.
L'avvento degli inibitori della proteasi ha profondamente influenzato la terapia di questa patologia; tuttavia, il trattamento con Telaprevir ( Incivek, Incivo ) o con Boceprevir ( Victrelis ) presenta una serie di limitazioni.
Gli inibitori della proteasi non hanno attività antivirale nei genotipi di HCV diversi dal genotipo predominante 1; pertanto cinque altri genotipi di HCV non presentano copertura terapeutica.
Inoltre, gli inibitori della proteasi possono promuovere la resistenza virale, che generalmente è associata a fallimento terapeutico, e presentare più interazioni farmacocinetiche con altri farmaci.
Infine, gli inibitori della proteasi devono essere somministrati con PegInterferone e Ribavirina, due farmaci con un profilo di scarsa tollerabilità. I pesanti effetti collaterali della terapia standard sono aggravati dalla aggiunta di Telaprevir e Boceprevir.
C’è, pertanto, grande aspettativa per opzioni terapeutiche meno tossiche. Una di queste è rappresentata da Sofosbuvir, un nuovo inibitore della polimerasi.
Due gruppi di ricercatori ( Jacobson et al [ N Eng J Med 2013 ] e Lawitz et al [ N Eng J Med 2013 ] ) hanno descritto l'uso di Sofosbuvir in una serie di quattro studi sperimentali con pazienti affetti da infezione da virus HCV.
Tre studi randomizzati, FISSION, POSITRON e FUSION, hanno riguardato pazienti con infezione da HCV genotipo 2 o 3, compresi i pazienti che non avevano ricevuto alcun precedente trattamento, quelli che non erano disposti ad assumere Interferone o avevano manifestato inaccettabili effetti collaterali, e quelli che erano stati considerati non-responder alla terapia precedente.
Tutti gli studi hanno mostrato una risposta virologica sostenuta a 12 settimane.
Nello studio NEUTRINO, a singolo gruppo, in aperto, è stato studiato l'uso di un regime a base di Sofosbuvir nei pazienti con infezione da genotipo 1, 4, 5, o 6.
Lo studio FISSION ha esaminato l'efficacia del trattamento con Sofosbuvir più Ribavirina per 12 settimane, rispetto alla terapia standard ( Peginterferone alfa-2a e Ribavirina ) somministrata per 24 settimane.
La terapia standard ha avuto successo nel 78% dei pazienti con infezione da HCV genotipo 2 e nel 63% di quelli con infezione da genotipo 3, contro, rispettivamente, il 97% e il 56% con il regime a base di Sofosbuvir.
Lo studio POSITRON ha valutato una popolazione ritenuta di non poter beneficiare di una terapia a base di Interferone, e ha confrontato 12 settimane di Sofosbuvir più Ribavirina con il placebo.
Le principali ragioni di ineleggibilità erano rappresentate da un disturbo psichiatrico preesistente ( 57% ) o da una malattia autoimmune ( 19% ).
Nessuno dei pazienti nel gruppo placebo ha raggiunto l’endpoint, ma il 93% di quelli con infezione da genotipo 2 e il 61% di quelli con infezione da genotipo 3 hanno presentato una risposta virologica sostenuta a Sofosbuvir più Ribavirina.
Lo studio FUSION ha focalizzato l’attenzione sui pazienti senza risposta sostenuta alla terapia a base di Interferone, ha messo a confronto un regime di 12 settimane di Sofosbuvir e Ribavirina con un regime terapeutico di 16 settimane.
Quattro settimane ulteriori di trattamento hanno fatto la differenza; il tasso di risposta virologica sostenuta è passato dal 86 al 94% nei pazienti con infezione da genotipo 2 e dal 30 al 62% in quelli con infezione da genotipo 3.
Nello studio NEUTRINO, i pazienti con infezione da genotipo 1 ( 89% ), infezione da genotipo 4 ( 9% ), o infezioni da genotipo 5 o 6 ( 2% ) che hanno ricevuto 12 settimane di trattamento con una combinazione di Sofosbuvir, PegInterferone e Ribavirina hanno presentato un tasso collettivo di risposta virologica sostenuta del 90%.
I dati ottenuti dagli studi con Sofosbuvir stanno ad indicare che un cambiamento radicale nella pratica clinica della epatite C cronica è imminente. Tuttavia la Ribavirina è ancora parte dei migliori regimi senza Interferone.
I dati dello studio di Gane et al ( N Eng J Med 2013 ) hanno mostrato che l'esclusione della Ribavirina compromette l'efficacia di Sofosbuvir.
L'uso di Ribavirina è stato associato ad anemia emolitica, una condizione che richiede molta attenzione, soprattutto nei pazienti con cirrosi.
Gli studi di Jacobson et al e Lawitz et al hanno mostrato un profilo di sicurezza accettabile per Sofosbuvir più Ribavirina, con bassi tassi di anemia e leucopenia tra i pazienti trattati con questo regime, rispetto alla terapia standard di cura.
Una nota di cautela è appropriata, in quanto c’è carenza di dati a lungo termine in ampie popolazioni. ( Xagena2013 )
Fonte: The New England Journal of Medicine, 2013
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